https://antropologiaeteatro.unibo.it/issue/feedAntropologia e Teatro. Rivista di Studi2023-12-19T10:30:32+01:00Prof. Matteo Casariantropologiaeteatro@unibo.itOpen Journal Systems<strong>Antropologia e Teatro – ISSN 2039-2281</strong> è una rivista di opinioni e discussioni sull'antropologia e il teatro con un comune denominatore: corretta e scientifica esposizione degli argomenti.https://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18671Prefazione2023-12-14T14:02:04+01:00Matteo Casarimatteo.casari@unibo.itNaohiko Umewakadipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.itMatteo Paolettimatteo.paoletti5@unibo.it2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Matteo Casari, Naohiko Umewaka, Matteo Paolettihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18667Criticità e sfide della Convenzione, a vent'anni dall'adozione2023-12-14T13:47:17+01:00Enrico Vicentidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Enrico Vicentihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18672Il ventennale della Convenzione UNESCO 20032023-12-14T14:02:55+01:00Mariassunta Pecidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Mariassunta Pecihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18673La Convenzione sul Patrimonio Culturale Immateriale: il negoziato e la sua applicazione pratica2023-12-14T14:04:04+01:00Tullio Scovazzidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Tullio Scovazzihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18675Miti, interpretazioni e fraintendimenti: l'"autenticità" nella Convenzione UNESCO del 2003 e nella normativa italiana2023-12-14T14:07:02+01:00Matteo Paolettimatteo.paoletti5@unibo.itElena Sinibaldidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>L’articolo indaga uno dei temi maggiormente sensibili quando si parla di patrimonio culturale, ovvero l’autenticità di una determinata pratica culturale e il suo ruolo per la definizione di un’identità comunitaria. Caratteristica fondamentale per molti programmi UNESCO, l’autenticità è formalmente esclusa dal testo della Convenzione del 2003 per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e dalle Direttive operative; eppure, nell’applicazione di questi strumenti, risulta uno dei nodi maggiormente problematici sia per le comunità di praticanti sia per gli organi deputati alla tutela degli elementi iscritti, con evidenti implicazioni di carattere antropologico, politico ed economico. Il contributo riflette sul mito dell’autenticità e sulle sue declinazioni in termini di “proprietà” ed “esclusività” delle diverse pratiche culturali, affrontando l’analisi da una duplice prospettiva; gli sviluppi normativi a livello internazionale e le più recenti determinazioni dell’UNESCO sono poste in dialogo con le interpretazioni giuridiche e dottrinali in ambito italiano, restituendo la complessità di una materia in cui le competenze demoetnoantropologiche si rivelano essenziali per la comprensione della legge e della sua applicazione alle concrete casistiche delle comunità umane.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Matteo Paoletti, Elena Sinibaldihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18694International Cultural Heritage: The 2003 ICH in Context2023-12-14T15:11:53+01:00Monica Alcantardipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<div> <p class="ABSTRAKT">In questo contributo, Monica Alcantar delinea le caratteristiche principali per valutare la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale a due decenni dalla sua adozione. L'autrice fornisce un quadro di riferimento per affrontare criticamente l'ampia gamma di considerazioni sul testo e sulla sua attuazione. Dall'impatto positivo senza precedenti che ha seguito l'espansione della concezione tradizionale del patrimonio per includere prospettive antropologiche e sociologiche. La Convenzione del 2003 non solo ha introdotto, ma ha amplificato la nozione di cultura in una dimensione evolutiva, dove il termine “salvaguardia” è diventato la misura per garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, pur ammettendo la sua natura entropica.</p> </div>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Monica Alcantarhttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18695Cambodian Performing Arts in the Era of UNESCO’s Intangible Cultural Heritage2023-12-14T15:35:02+01:00Fabio Morottidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>La tutela del Patrimonio culturale immateriale (Intangible Cultural Heritage – ICH) promossa dall’UNESCO sta alimentando un vivace dibattito nel settore delle arti performative cambogiane. Il riconoscimento di ICH conferito dall’UNESCO si traduce in una maggiore attenzione internazionale e in nuove opportunità economiche per la tradizione selezionata, il che contribuisce a preservare pratiche culturali che rischiano di scomparire. In Cambogia, soltanto un numero esiguo di insegnanti e interpreti è riuscito a sopravvivere alle brutalità perpetrate dal regime di Pol Pot (1975-79), e l’inserimento di tali tradizioni artistiche in uno scenario globale, anche in ragione della strategia culturale portata avanti dall’UNESCO, ha favorito la rivitalizzazione e ricostruzione di repertori vecchi e nuovi. Questo è certamente il caso della tradizione musicale del Chapei Dang Veng e del teatro-danza Lkhon Khol Wat Svay Andet, generi che sono stati iscritti nella List of the Intangible Cultural Heritage in Need of Urgent Safeguarding, rispettivamente nel 2016 e nel 2018. Tuttavia, considerando l’effetto di branding, il quale è strettamente correlato al processo di patrimonializzazione e alle liste UNESCO, il concetto di ICH sembra aver favorito il turismo di massa e, più in generale, un’eccessiva commercializzazione e folklorizzazione delle pratiche culturali. Tradizioni che, come conseguenza, vedono eroso il loro significato religioso.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Fabio Morottihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18678La tutela del patrimonio immateriale in Giappone2023-12-14T14:10:07+01:00Alice Palazzodipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Il Giappone è stato tra i primi paesi al mondo ad aver introdotto nel 1950, all’interno della propria legislazione, la tutela del patrimonio immateriale. Attraverso un elaborato sistema di designazione, selezione e registrazione dei vari elementi ritenuti di particolare importanza, lo stato giapponese attua diverse strategie volte a salvaguardare il proprio patrimonio culturale. Fondamentali per la trasmissione dei saperi sono i ningen kokuhō individui ritenuti incarnare le abilità tecnico-artistiche riconosciute come patrimonio culturale immateriale importante. Illustrerò le politiche adottate per la tutela del patrimonio immateriale in Giappone ricostruendo il percorso che ha portato alla legislazione oggi in vigore per poi analizzare la figura del ningen kokuhō e le strategie messe in atto dal governo giapponese per la salvaguardia delle arti performative tradizionali.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Alice Palazzohttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18679Vivere il qui e ora: le arti performative che fanno parte dei beni culturali immateriali2023-12-14T14:11:04+01:00Elisa Anzellottidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>A 20 anni dall’istituzione dei beni culturali immateriali si vuole fare un bilancio su quanto è stato fatto per la tutela di questi beni e le difficoltà incontrate. Partendo dalla genesi del riconoscimento dell’importanza di tali beni e il recepimento presso i vari Stati della normativa UNESCO 2003, si focalizzerà l’attenzione sulla situazione italiana con particolare riferimento alle arti performative, nello specifico alle danze che, mentre in altri Paesi hanno trovato spazio e riconoscimento, in Italia stentano a trovare una loro definizione. La danza, non essendo caratterizzata da materialità, vive nell’hic et nunc, il qui e ora, e questa effimerità crea non pochi problemi a livello di salvaguardia e conservazione. Le sfide in materia sono diverse, è infatti facile incorrere in risultati negativi come congelamento di tradizioni o stravolgimenti “commerciali”. Sono diversi anni infatti che si parla della candidatura di alcuni balli tradizionali, che richiederebbero una particolare attenzione in quanto sono in pericolo le loro origini e/o sono a rischio di stravolgimento (es. pizzica pizzica), ma ancora nulla e stato fatto. Questo esempio permettera di sondare le difficolta che pongono le arti performative, le nuove sfide che pongono, e quanto e stato gia realizzato in questo campo.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Elisa Anzellottihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18680 Documentare, formalizzare e archiviare la prassi dell’immateriale2023-12-14T14:12:11+01:00Simone Dragonesimone.dragone@edu.unige.it<p>La Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (2003) annovera le arti dello spettacolo tra i settori in cui il patrimonio culturale immateriale si manifesta. Ma a un livello precedente, ritiene parte del patrimonio culturale immateriale anche prassi, conoscenze e know-how che comunità, individui o gruppi identificano come parte del loro patrimonio culturale. L’articolo intende analizzare il concetto di processo creativo in quanto prassi attraverso cui gruppi teatrali condividono conoscenze e abilità, e identificare le possibili fonti documentali contenenti le tracce della creazione artistica. Infine, l’intervento vuole comprendere se procedure di formalizzazione già in uso possono adempire all’archiviazione della prassi creativa, per conservarla e renderla accessibile a gruppi e comunità di studiosi che la considerano parte del loro patrimonio culturale.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Simone Dragonehttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18681Archiviare la performance2023-12-14T14:15:31+01:00Laura Pernicelaura.pernice@unict.it<p>La Convenzione adottata dall’UNESCO nel 2003 ha ridefinito il concetto di patrimonio culturale immateriale nel segno di un netto slittamento da una concezione di stampo umanistico a una di matrice antropologica. Il nuovo accento posto dalla Convenzione sugli interventi di ricerca e documentazione coincide con l’incremento delle buone pratiche degli archivi, soprattutto digitali, ripensati non come meri depositi di memoria, ma come dei veri e propri dispositivi di continua riconfigurazione dei processi artistici. Muovendo da queste considerazioni, il contributo attinge alla fondamentale distinzione tra repertorio/embodied knowledge e archivio teorizzata da Diana Taylor per analizzare l’utilizzo del dispositivo archivio applicato alla tutela, alla valorizzazione e dunque alla riattivazione dei documenti teatrali.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Laura Pernicehttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18697The Giufà Project: oralità, teatro e identità per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale2023-12-14T18:59:36+01:00Francesco Pipparellidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.itLaura Fatinidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.itRedi Asabelladipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Possono progetti e residenze internazionali valorizzare il patrimonio culturale immateriale, fondamentale per il dialogo tra culture? In tale prospettiva la sola conservazione non basta, è cruciale trasmetterlo alle nuove generazioni e favorire la conoscenza reciproca delle tradizioni. The Giufà Project, Charlemagne Youth Prize Winner 2022 - Italia, rappresenta un esempio di queste iniziative, e costruisce una comunità mediante il teatro sociale e lo storytelling. Nato nel 2014, coinvolge sette nazioni e oltre 30 comunità, raccogliendo un ricco patrimonio culturale immateriale: storie tradizionali, musiche popolari, costumi, manufatti artigianali e produzioni artistiche. Il progetto promuove il dialogo tra le comunità locali e la comunità internazionale attraverso laboratori multigenerazionali e interculturali, utilizzando un approccio pratico e performante. Esaminando The Giufà Project, intendiamo esplorare l'impatto delle metodologie artistiche e quello delle figure archetipali sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Francesco Pipparelli, Laura Fatini, Redi Asabellahttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18683Contro l'oblio: pratiche artistiche e ipotesi di ricerca per la danza del futuro2023-12-14T14:17:18+01:00Andrea Zardidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Le prospettive relative alla documentazione, accesso e ricerca − rilevate all’interno della Convenzione UNESCO e applicate ai beni culturali materiali e paesaggistici − come possono essere applicate allo spettacolo dal vivo, in particolare alla danza? La natura immateriale di quest’arte è testimonianza diretta non solo delle tendenze artistiche dell’epoca in cui si realizza, ma anche di molteplici aspetti culturali che si riflettono nella capacità del corpo danzante di essere archivio di pratiche, identità e soggettività: un sistema attivo che, secondo la visione foucaultiana, opera atti di selezione, conservazione e scarto. Il punto di interesse però a cui la convenzione Unesco ci riporta non è solamente quello di archiviare seguendo una volontà cieca di conservazione − che Hal Foster definisce come “archival impulse” (Foster 2004: 3-22) − ma di mettere in azione una stratificazione di esperienze, saperi, ricerche, ideologie all’interno delle politiche culturali e nella fruizione collettiva, coinvolgendosi attivamente nella pratica artistica. Analizzando l’inclusione della Modern Dance in Germania nelle liste dei beni immateriali e un caso studio come il lavoro di Jérôme Bel per Isadora Duncan, si intende evidenziare la capacita della danza di rimettere queste memorie all’interno di processi trasformativi, in dialogo con le problematiche e le caratteristiche del presente, aprendo ad un nuovo panorama creativo per gli artisti.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Andrea Zardihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18684Il <em>Rabinal Achí</em> di Ondinnok. Il patrimonio immateriale come pratica incarnata nel teatro contemporaneo del Québec2023-12-14T14:18:17+01:00Daniela Saccodaniela.sacco@iuav.it<p>Il contributo interroga il valore e significato del concetto di patrimonio immateriale come definito nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale istituita dall’UNESCO nel 2003 in quanto pratica incarnata e in un’ottica decoloniale. La riflessione si concentra in particolare nel caso dello spettacolo Xajoj Tun Rabinal Achí della compagnia autoctona quebecchese Ondinnok, che nel 2010 ha messo in scena a Montreal una rielaborazione teatrale dal dramma maya guatemalteco Rabinal Achí, risalente al XV secolo e precedente la conquista coloniale ispanica, dichiarato nel 2005 dall’UNESCO uno dei capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Daniela Saccohttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18685L’Opera dei Pupi prima e dopo la Convenzione ICH 20032023-12-14T14:22:05+01:00Alessio Arenaalessio.arena@univ.it<p>Il contributo intende soffermarsi sul riconoscimento UNESCO, nel 2001, dell’Opera dei Pupi, e sull’iscrizione di quest’ultima, nel 2008, alla lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, in seguito alla ratifica da parte dell’Italia della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale ICH del 2003. Si farà riferimento, in particolare, all’attività teatrale della compagnia e associazione “Figli d’Arte Cuticchio”, diretta da Mimmo Cuticchio. Nel ripercorrere, quindi, presupposti e risvolti di questi importanti avvenimenti, ci si avvarrà sia delle riflessioni emerse durante il dialogo con lo stesso maestro Cuticchio sia di un’intervista che il sottoscritto ha fatto, per questo contributo, a Elisa Puleo, moglie di Mimmo Cuticchio e amministratrice della compagnia. Si utilizzeranno, inoltre, fonti dell’archivio della compagnia.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Alessio Arenahttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18686L'Opera dei pupi siciliani a 20 anni dalla Convenzione ICH UNESCO2023-12-14T14:23:08+01:00Rosario Perriconerosario.perricone@unipa.it<p>L’articolo analizza il processo di salvaguardia, avviato negli anni Sessanta, del primo Elemento Italiano iscritto nella Lista UNESCO dell’ICH 2003: l’Opera dei pupi, divenuta Capolavoro dell’Umanità nel 2001. Tale processo partecipativo integra attività museografica, ricerca sul campo e messinscena degli spettacoli di tradizione e innovazione. È stato promosso dal Museo delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo che si configura come un museo della performance, un museo-narrazione, luogo di idee e non di cose, capace di andare al di là della raccolta e trasformarsi in meta-storia, “opera aperta”.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Rosario Perriconehttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18687Canto a tenore e altre polifonie sarde. Riflessioni e proposte attorno alla Convenzione UNESCO ICH 20032023-12-14T14:24:01+01:00Matteo Casarimatteo.casari@unibo.itDiego Panidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>L’articolo osserva e discute le trasformazioni dei paradigmi UNESCO relativi alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (ICH 2003) rispetto alla Convenzione per il patrimonio mondiale culturale e naturale (1972). In particolare, adottando un approccio antropologico, l’analisi si concentra sui concetti di autenticità e identità culturale. Viene quindi preso a caso di studio l’elemento “Canto a tenore sardo”, iscritto nella lista del patrimonio culturale immateriale in riferimento al suo legame con il pastoralismo. Per riflettere sui limiti e le criticità di tale designazione e, più in generale, della ICH 2003, l’articolo guarda al percorso intrapreso dai cantori e dalle istituzioni sarde dopo la proclamazione, avvenuta nel 2004, arrivando fino all’ultimo progetto di studio e salvaguardia della pratica denominato Modas, che si propone, attraverso le proprie attività, maggiormente inclusivo di quelle pratiche di polifonia a più parti vocali non incluse nella cura UNESCO.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Matteo Casari, Diego Panihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18688Il processo di candidatura come percorso di cambiamento: <em>The Practice of Opera Singing in Italy</em>2023-12-14T14:25:12+01:00Francesco Bellottofrancesco.bellotto@conservatorioverona.itOrietta Calcinonidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.itFederico Domenico Eraldo Sacchifde@federicosacchi.com<p>Il contributo ripercorre la storia complessa e pluriennale della Candidatura dell’Arte del Canto Lirico Italiano perché rappresenta in qualche modo un utile “caso di studio”. Nel momento in cui gli autori scrivono, l’Elemento rappresenta la candidatura 2023 dello stato italiano senza aver ancora ricevuto la ratifica da parte dell’UNESCO per l’inclusione alla lista dell’Intangible Cultural Heritage. Tuttavia per il Comitato promotore la quantità e qualità di acquisizioni ottenute in questi anni di lavoro rappresenta già un risultato di crescita intellettuale e istituzionale ampiamente positivo. Dopo aver ripercorso la storia, viene descritta la multiforme comunità dei praticanti che ha espresso il dossier grazie al coordinamento tecnico-scientifico del Servizio II - Ufficio UNESCO del Segretariato Generale del Ministero della Cultura. Si tratta, infatti, della composizione di un board in cui per la prima volta operano verso obiettivi comuni – con strategie mirate – personalità e istituzioni di rilevanza assoluta (quali Teatro alla Scala, Accademia di S. Cecilia, l’Associazione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, l’Associazione dei Teatri Italiani di Tradizione, Assolirica). L’articolo prende dunque in rassegna le principali acquisizioni: di carattere intellettuale (a cominciare da una più coerente – scientifica – definizione del bene e della sua immaterialità), istituzionale (la realizzazione di una rete di collaborazioni inesistente all’inizio del percorso) e progettuale (condivisione di azioni performative, scientifiche, divulgative e pedagogiche).</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Francesco Bellotto, Orietta Calcinoni, Federico D. E. Sacchihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18689Intervista a Umewaka Rōsetsu, Tesoro Nazionale Vivente2023-12-14T14:26:05+01:00Naohiko Umewakadipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Il contributo è un’intervista a Umewaka Rōsetsu (1948) Shite-kata della scuola Kanze. Cinquantaseiesima generazione della famiglia Umewaka Rokurō. Secondo figlio maschio di Umewaka Rokurō LV. Ha studiato sotto Umewaka Minoru II e suo padre. Debutta sul palcoscenico nel 1951 come attore bambino in Kurama Tengu. Nel 1954 ha interpretato il suo primo ruolo da protagonista (shite) in Shōjō. Mentre approfondisce i classici del nō, promuove anche attivamente il riesame del repertorio, il recupero di altri drammi e la messa in scena di nuovi spettacoli nō. Nel tempo riceve molti premi tra cui nel 1986 il premio del Ministro dell'Istruzione per l'incoraggiamento artistico per i nuovi artisti e, nel 1998, quello dell’Accademia giapponese delle Arti. Nel 2007 diviene membro dell’Accademia giapponese delle Arti e nel 2014 è riconosciuto come Ningen kokuhō (Tesoro nazionale vivente). Direttore dell’Associazione Umewakakai e direttore dell’Accademia di Nō Umewaka è autore di Makoto no Hana edito da Sekai Bunka.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Naohiko Umewakahttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18690La pratica del teatro nō fuori dal Giappone2023-12-14T14:27:03+01:00Cristina Picellidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Il workshop svolto all'Università Statale di Milano a novembre 2022, insieme allo spettacolo al teatro Franco Parenti eseguiti entrambi dalla compagnia Yamamoto di Ōsaka, sono tra gli eventi più recenti di teatro nō ai quali abbiamo potuto assistere in Italia grazie alle celebrazioni del 40° anniversario del gemellaggio tra Milano e Osaka. Per chi è impossibilitato a recarsi in Giappone, questi sono eventi unici ed importanti, soprattutto per chi non ha mai avuto occasione di vedere un nō dal vivo. Lo sono anche per rimanere in connessione con questa antica disciplina per chi già la conosce, un semplice fruitore o uno studioso. La prima semplice riflessione nasce dalla mia esperienza personale e dalla fortuna di aver potuto conoscere il nō gradualmente, come praticante, grazie alla trasmissione di preziosi insegnanti. Chi studia e ama quest’arte ha il dovere di sostenerne anche la divulgazione, non attraverso la censura ma attraverso una didattica volta a a indirizzare il fruitore che è non solo lo spettatore ma anche il possibile praticante. In Giappone operano circa 1185 attori di teatro nō e sappiamo che la maggior parte dei sostentamenti provengono dalla formazione degli allievi. Come passar quindi dalla conservazione alla divulgazione del patrimonio tutelato?</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Cristina Picellihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18691Il Cristianesimo in Giappone. Tradizioni nascoste e il coraggio per la fede2023-12-14T14:27:59+01:00Olimpia Niglioolimpia.niglio@unipv.itPaolo Giuliettidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Il difficile cammino del cantiere missionario che ha visto sin dal XIII secolo attivi soprattutto gli ordini mendicanti e in particolare i francescani, i domenicani e gli agostiniani, ha avuto un ruolo fondamentale nella divulgazione del Vangelo nel mondo allora conosciuto. Questo cammino, segnato anche dalle rotte mercantili, ha vissuto esperienze particolarmente difficili quando ha incontrato le terre d’Oriente e soprattutto il Giappone. Tali esperienze hanno segnato la vita di tanti missionari occidentali giunti nelle terre del Sol Levante dando vita ad un patrimonio culturale che per oltre tre secoli è rimasto occulto ma che oggi costituisce un importante riferimento per riflettere sul valore della fede e sull’importante presenza della Chiesa nella società per un proficuo dialogo tra le diversità.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Olimpia Niglio, Paolo Giuliettihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18692L’arma segreta dell’Armenia. Il <em>duduk</em> a difesa dell’identità nazionale2023-12-14T14:29:17+01:00Leonardo Delfantidipmuspe.antropologiaeteatro@unibo.it<p>Il lungo conflitto per il Nagorno-Karabakh ha avuto impatti profondi sulla cultura e sull’identità dell’Armenia. Superata militarmente dall’Azerbaijan, l’Armenia ha cercato di preservare la sua identità nazionale tramite la valorizzazione del suo patrimonio culturale immateriale (ICH). Questa strategia, avviata attraverso la rettifica della Convenzione UNESCO del 2003, ha aperto nuove prospettive nella rappresentazione del patrimonio, focalizzandosi su principi etnografici più che topografici. Il presente testo si propone di analizzare la relazione tra l’Unesco, l’Armenia e il conflitto per il Nagorno-Karabakh concentrandosi sulla candidatura del duduk come ICH e sul suo ruolo nella difesa dell’identità nazionale armena.</p>2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Leonardo Delfantihttps://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/18776Approcciare l’immateriale. Culture, patrimonializzazione e performance nel lavoro redazionale al Dossier ICH 2003 2023-12-18T23:40:56+01:00Beatrice Borellibeatrice.borelli2@unibo.itDavide Nicola Carnevalecrnddn@unife.itSara Colciagosara.colciago@gmail.comEmanuele Regiemanuele.regi2@unibo.itCinzia Toscanocintoscano@gmail.com2023-12-19T00:00:00+01:00Copyright (c) 2023 Beatrice Borelli, Davide Nicola Carnevale, Sara Colciago, Emanuele Regi, Cinzia Toscano